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"L'autostrada scivola veloce", per riprendere una strofa di una canzone che facevo mia alle superiori, ovviamente senza gelato. L'asfalto scorreva, l'orizzonte si comprimeva e gli oleandri delimitavano le due carreggiate con la loro esplosione di colori. Sembrava quasi un quadro impressionista e quella leggera brezza donava l'impressione di movimento tipica delle pennellate francesi. L'autostrada siciliana offre qualcosa di incredibile: campi infiniti che si fondono con l'azzurro del cielo o del mare, a volte con ambedue, intervallati da paesaggi saturi di frutteti colmi di pesche, di albicocche, di nespole e perfino di mandorle. Coltivazioni che si frastagliano alle rocce delle montagne, perlopiù calcaree. Ai bordi trovano posto proprio loro, gli oleandri che stanno proprio vicino alle palme. Un insieme di arbusti che si intervallano in modo disomogeneo e mitigano le tonnellate di cemento poco armato che fanno da base per tutta la viabilità.
Non riuscivo davvero a capire come un cappuccino potesse "salvare la vita", anche in questo caso per riprendere l'affermazione sentita soltanto qualche minuto prima. Non vi era, almeno in quel momento, alcuna ragione per tornare sul discorso. Nella mia testa, ritenni che quanto dettomi fosse una elaborazione troppo personale. Doveva essere così: una esternazione che derivava da una sottile tensione. E poi c'ero io che non potevo, in nessun modo, abusare nel forzare quell'ordine delle cose.
Il viaggio fu breve e, durante tutto il percorso, ebbi il sentore di quel caffè bruciato e di quel latte tremendamente caldo. Non capivo se quel liquido mi avesse ustionato perché lo sgradevole sapore fu capace di mascherare perfino l'eventuale dolore.
Tre o quattro caselli dopo fu la volta di accendere la freccia di destra, due rampe di decelerazione e qualche centinaio di metri per raggiungere una piazzola di sosta. Di fronte un albergo, devo dire un po' bruttino, nel quale avrebbe soggiornato. La salsedine aveva corroso la faccia esposta al mare.
– Beh, grazie per il passaggio.
– Grazie a te per il cappuccino!
– Era il minimo.
Seguì una breve conversazione riguardo a cosa poter visitare in zona, che non fu molto fruttifera giacché non amo particolarmente il mare. Ci salutammo e le dissi che per qualsiasi cosa "questo è il mio numero di telefono", compiendo in assoluto l'atto più scortese di quella giornata. Lo avrei capito qualche ora dopo. Avevo anche voglia di una granita alla mandorla, macchiata con un po' di fragola, ma com'è noto noi Siciliani siamo molto selettivi sulla granita e, quel posto, non lo conoscevo. Tenni con me la voglia per un po' di tempo.
Tornai sulla macchina, rimasta nel frattempo sotto il sole cocente, e sentii quell'odore. Di nuovo. Non so se esista la fragranza "brand-new"; se non esistesse forse dovrebbero inventarla. Adoro le macchine a noleggio perché, ogni volta, riesco a saturare le mie narici di quell'odore.
Mentre percorrevo a ritroso le rampe, diventate adesso di accelerazione, notati il colore stupendo del mare. Era inaspettatamente calmo, nonostante vi fosse qualche accenno di vento. In pochi secondi, quasi sinestetici, pensai a quel colore: blu? azzurro? azzurro scuro? indaco? Come le migliori domande che mi siano, da sempre, passate attraverso i miei neuroni anche quella durò pochi secondi: era semplicemente il colore del mare.
Impiegai ben due ore prima di tornare a casa, complice del ritardo qualche ponte appena crollato o sul punto di farlo. Di fronte casa la solita routine: volume al minimo, retromarcia, controllo della retrocamera posteriore, ruota sul marciapiede, bestemmia, sterzo un po' più a destra e tasto "engine on/off". Tolsi le scarpe, esattamente di fronte la porta, e appoggiai lo zaino dentro la scomparsa di un mobiletto comprato all'Ikea. Ovviamente avendo cura di estrarre il portatile e il telefonino. Dal frigo rubai una bottiglia d'acqua, praticamente ghiacciata, e cercai di reidratarmi. O forse avrei voluto dare il colpo di grazia a quell'insensato sapore che avevo ancora in bocca.
Il cellulare squillò e vibrò. Era sul tavolo che fece da cassa di risonanza. Posai la bottiglia nel frigo, rigorosamente nella "tasca" ricavata nello sportello e lessi WhatsApp.
"Stasera birra?"
"Solo se l'IPA è buona", risposi.
"Ci vediamo al solito posto. Alle 9.30!"
"Chi siamo?"
"I soliti!"
"Ok, ma facciamo alle 9:00? Ho una certa età."
"Ok, a tra poco."
Mentivo, ovviamente. Avevo bisogno di una IPA ghiacciata, ma volevo gustarmela ben prima delle 9:00.
Dovevo lavorare, accendere il portatile, aggiornare Excel, scrivere qualcosa, scrivere qualcos'altro. Ma non feci nulla di tutto ciò. Cercai nel disordine del mio armadio il mio completino comprato al Decathlon, allacciai le mie Mizuno rosse, pagate con un rene, e andai a correre. Dovevo, in qualche modo, meritarmela quella birra.
La corsa non fu entusiasmante e peggiorò la media della mia solita e indecente performance da runner. Sia chiaro: a me piace l'autostrada. Mi piace guidare ma farlo per più di due ore genera dentro me un senso di stordimento per tutto il giorno. E quella sensazione la percepivo chiaramente durante la corsa: correvo e non sentivo più le gambe. Non riuscivo a coordinarmi. Mi sarebbe tanto piaciuto potermi vedere dall'esterno in quella così coreografica sessione di corsa. Per fortuna durò poco: 34 minuti, 5.04 km. Almeno non mi fermai, completando il mio percorso in una singola sessione.
Tornai a casa, scansai le scarpe proprio di fronte al portone, per un attimo sorprendendomi sul fatto che proprio lì potessero esserci delle scarpe. Spogliandomi ebbi cura di sistemare i vestiti direttamente nella lavatrice, selezionai il programma "Sport Eco" e sentì il fluire dell'acqua dentro il cestello. Fu subito il turno della doccia, accesi la cassa tamarra Bluetooth, chiesi ad Alexa di farmi ascoltare un po' di musica e sentii le prime note di una famosa canzone di "Albano e Romina". Per me fu la prova lampante che Amazon non mi sta profilando, e se lo stesse facendo sta sbagliando. E di brutto. Dopo pochi minuti la cassa Bluetooth smise di funzionare, segno tangibile che Dio c'è e ogni tanto m'ascolta. Ma assieme alla cassa si spense praticamente tutto. Vivo da solo da quasi vent'anni e, ogni volta, mi dimentico di posticipare la doccia se la lavatrice è accesa.
Chiesi perdono al contatore dell'Enel o, per dirlo con le parole di mia nonna, al contatore "della luce". Feci ripartire la lavatrice. Guardai per un attimo il phon ma non volli far andare, questa volta ancora più stupidamente, via la "luce". Decisi di asciugarli alla bella e buona tramite la tovaglia. Sì, la tovaglia è quel termine jolly con il quale è possibile descrivere qualsiasi manufatto costituito da tessuto lavorato. Asciugamani comprese.
Così caldo, profumato e pulito mi addormentai.
[continua…]