Un omone, la cui pancia trasbordava dalla già parca camicia grigia, poggiò una tazza di caffè sul banco. Avvicinò la bevanda, contenuta in una scintillante ceramica, alla ragazza che occupava l'altre parte del tavolo. Conservava quella tazza per il grande evento. La donna era vestita con un bluse lilla. Indossava una collana formata da ciottoli misti a formazioni regolari d'ambra levigata. La toccava con le dita, mimando nervosismo, ma il suo sguardo e il suo viso mostravano – invece – la sua assoluta serenità.
Uno specchio copriva la metà della parete. Da esso, la donna, poteva ammirare i capelli lunghi e mossi. Sapeva che dall'altra parte la stavano osservando e registrando. Sentiva il tintinnio delle manette, pronte a raffreddarle i polsi.
L'omone, dal canto suo, sapeva anch'egli che avrebbe, di lì a poco, iniziato la battaglia più dura della sua vita.
– Il caffè è suo.
– No grazie, non bevo caffè di pomeriggio. Apprezzo la sua gentilezza, detective.
– Non perdiamoci in formalità. Voglio tornare a 127.0.0.1 prima possibile.
– Detective, non so perché sono in chroot, vorrei essere anche io in localhost.
– E allora confessi. Sappiamo che lei è la pericolosa hacker che, in rete, si fa chiamare Bellis perennis.
– Si sbaglia, detective. Io, a malapena, so accendere un computer.
– Sappiamo benissimo che lei spaccia DNS. Abbiamo interrogato i nameserver. Le nostre informazioni ci portano a lei.
– Nego qualsiasi query a mio carico.
– Lo sappiamo, lei non collabora, gli avvocati hanno propagato una istanza della classe scarcerazione.
– Sbaglia a dire questo. Dopo avervi fornito il mio CNAME avrei potuto avvalermi della facoltà di non rispondere e…
– E?
– Lei, detective, avrebbe avuto un errore 404.
– Guardi questa foto.
Il detective sbuffò e sbattendo la foto sul tavolo di metallo la esortò a guardarla. Cercava istintivamente, nel taschino della ormai sudata camicia, un pacchetto di camelCase da fumare. Si ricordò che le aveva finite e non aveva nemmeno avuto il tempo di fare un git -pull dal repository di tabacchi.
– Cosa dovrebbe dirmi, detective, questa foto?
– Non lo vede? È un firewall.
– Lo vedo, è un firewall spento, detective.
– No, è un firewall morto! È schiattato per colpa sua. E sa per quale motivo ha avuto uno shutdown?
– Mi sorprenda…
– È andato in overdns di request.
Smise di giocare con la collana. La situazione subì una escalation da sudo.
– Non può puntare gli A su di me, non le concedo nessun host se non prima formalizza un dominio d'accuse.
– E io non permetterò che questa storia, mia cara Bellis perennis, diventi materiale per un #FFFF00 da quattro soldi!
– Non avete nulla contro di me.
– Invece sì. Abbiamo puntato gli A verso il suo IP e abbiamo scoperto il suo giochetto.
– Non è possibile, rispose la ragazza.
– Sì, ha cercato di nascondere il sottodominio tramite .htaccess ma abbiamo analizzato gli header. Abbiamo visto il redirect L=301.
– Il sottodominio?
– No la sottodirectory! Cioè il sott… la sot…
– Si decida, detective!
– Sottodominio, sottodirectory. Non sono la stessa cosa?
Portò le mani dietro al collo, raccolse i capelli in una coda, e liberò la collana dalla chioma. Ebbe cura di piegarla più volte, a formare un loop. Vide il terrore sul viso del detective. In quel preciso istante entrarono dalla porta il sergente e il suo aiutante e dissero.
– Detective… non sono la stessa cosa. Nessuna giuria potrà condannarla sulla base di questa svista. Le accuse finiranno in /dev/null. Signorina, lei è libera. Le chiediamo scusa.
Void.