
Appena sveglio.
Non trovavo il profumo. Non ne cercavo uno in particolare, mi bastavano due spruzzi di qualsiasi cosa potesse rendermi più presentabile.
L'occasione era importante.
Il "vestito buono", quello che avevo usato per la mia Laurea, e per il matrimonio di Giovanni, per il battesimo di Luca, la comunione di Marco e per altri eventi dei rimanenti Apostoli, mi stava un po' largo. Non avevo dormito e mangiato per giorni. Avevo comprato intere enciclopedie sul tema: come dare il meglio di sé ad un colloquio. E con le medesime avevo passato giorni e notti. Facendo di tutto. Proprio di tutto.
Se ritenete che il taglio della carta sia fastidioso su una mano, non aggiungo altro.
Il vestito. Per fortuna, non era troppo scuro giacché avrebbe rappresentato l'incapacità di relazionarsi, e nemmeno troppo vistoso, che – viceversa – indicava l'attitudine a predominare, a voler stare al centro dell'attenzione. Grigio chiaro, cravatta marrone.
Nella paura di non trovarle, al momento giusto, avevo riempito ogni tasca di mentine. Perché, ed è noto, che l'alito killer è la prima causa del "le faremo sapere". Assieme alle mentine, con un po' di scotch avevo appiccicato le Imodium orosolubili. Non è bello cagare, oppure manifestare l'intenzione di farlo di lì a poco, di fronte alla persona che, potenzialmente, ti sta assumendo.
Scarpe comode, ma non troppo. Eleganti ma con la suola in gomma, per mostrare una rigidità nel comportamento ma la capacità di adattarsi alle situazioni faticose. Che poi, fosse per me, indosserei le nike pure dentro la cassa da morto.
È una buona idea, devo passare dal notaio a rivedere il testamento. (*)
Entro in macchina. Mi guardo allo specchietto della fiammante Audi TT, nera, cerchi in lega da 19", turbobenzina, presa a nolo per l'occasione con gli ultimi risparmi, e vedo la mia faccia privata della folta barba che, fino ad ieri, colonizzava quell'ammasso di cellule cheratinizzate. Tuttavia, vistoso, spunta un pizzetto meticolosamente lavorato. Segno che, anche nella vita privata, so dedicare del tempo alle cose che non fanno guadagnare. E se lo dedico lì, figuriamoci in una realtà altamente competitiva come quella, nella quale e per la quale, spero di poter lavorare.
Metto le mani in tasca. Tocco qualcosa. CRISTO! IL CELLULARE! Dovevo lasciare quello strumento infernale a casa, così quando la polizia, dopo avermi accortamente sodomizzato, mi avesse chiesto dove fossi stato avrei risposto "a casa", ed avrei aspettato che quell'alibi venisse verificato dalla triangolazione dei ripetori GMS agganciati dal Galaxy S.
No, un attimo. questo l'avevo letto in un'altra enciclopedia. Parlava di come realizzare l'omicidio perfetto.
Mentre la trazione integrale della poderosa Audi mi aiutava a giungere incolume alla meta, pensavo già alla stretta di mano. Doveva essere energica ma, di certo, non potevo rompergli nessuno di quei cazzo di ossicini che tanto mi hanno fatto santiare durante lo studio di Anatomia.
Ma non doveva essere neppure troppo blanda, segno inconfutabile della mia carenza di volontà e di carisma. E poi mi sforzavo di ripetere.
Buongiorno a lei. Grazie per aver esaminato la mia proposta
Io, più o meno
Quelle parole dovevano uscire in quel preciso ordine, con quella inflessione che mentalmente mi proponevo e riproponevo. Non avrei mai voluto salutare il mio esaminatore con le espressioni che, normalmente, uso con altre persone. Ad esempio: "Oh, compare! Minchia, certo che tua sorella, ieri, m'ha fatto un bel servizietto. Però le devi dire che, prima di arrivare al livello di tua madre, deve ancora farne di strada!".
Questo discorso avviene, quasi sempre, quando incontro mio fratello.
Una piccola riflessione sul farsi le madri altrui. Questo era un cavallo di battaglia di me e del mio gruppetto di amici, ai tempi delle medie. Adesso le madri degli stessi amici, salvo qualche lodevole eccezione, o sono delle bisbetiche amestruate oppure son morte. Caso ultimo che, almeno per me, è tutto fuorché interessante.
Pensavo alla posizione da tenere una volta seduto. Le gambe accavallate, o no? Molto probabilmente, non potevo emulare la famosa scena di Basic Instinct, interpretata da una bellissima Sharon Stone.
Comunque, giusto per curare ogni dettaglio, mi ero depilato. Su una cosa, invece, ero in totale disaccordo con il manuale. La posizione inclinata verso l'interlocutore che – secondo l'enciclopedia – voleva significare una mancanza di doveroso distacco verso il fulcro del comando, ma secondo la mia esperienza di vita, era un chiaro segnale che mi piegavo e avrei dato il culo anche a loro.
Dovevo evitare di toccarmi il naso. Voleva dire bugia. Muovere le spalle, avrebbe tradito il mio nervosismo. Incrociare le braccia, che è indice del rifiuto volontario di acquisire una direttiva. Gesticolare in maniera vivace, avrebbe rivelato le mie origini Siciliane. Parlare marcando gli accenti, avrebbe dimostrato che la Sicilia è vicina alla Calabria. Al massimo dovevo chiudere le labbra, in segno di approvazione tacita di tutto quanto, e annuire con la testa. Sempre evidenziando la disponibilità del mio culo, anche senza la previa lubrificazione.
(Una volta, in un bar, mentre stavo finendo di divorare la mia pausa pranzo, una tizia mi offrì un tubetto di vaselina. Ma questa è tutt'altra storia)
Oppure potevo attuare un'altra strategia. Quella dell'inversione del soggetto. Potevo sparargli in faccia che avrei lavorato sodo, è vero, ma soltanto per diventare sempre più importante. Primus inter pares.
Poi avanzare di grado e diventare amico della stessa figura che, attualmente, mi stava esaminando. Entrare in perfetta sintonia con lui, con la sua famiglia ma – in particolare – con la moglie. Per la madre, non so, mi riservo prima di vederla.
Adesso vado. Ho le mani sudate.
*: Non è vero, non ho un notaio e meno che mai un testamento. Mi son sentito importante nello scrivere ciò.