
Un lungo rettilineo, tappezzato di fresco asfalto, separava due incroci. Era una strada a due corsie, una di quelle nelle quali le macchine sfrecciano nel tentativo di comprimere, se non annullare, il tempo. Ai lati della strada la vegetazione era brulla. D'estate rami secchi e rovi e d'inverno arbusti che si attorcigliavano tra loro. Non aveva un nome, era una struttura di passaggio. C'erano giorni nei quali, addirittura, pareva che nessun mezzo vi transitasse. Altri giorni, specialmente con il caldo, si registrava qualche sporadico passaggio.
In quel segmento era solito passeggiare un pazzo. Camminava avanti e indietro, da un incrocio all'altro, senza mai attraversarlo. Si limitava a fermarsi all'intersezione e voltarsi per proseguire. Durante il cammino cercava di districare la sua folta barba e, quando non era impegnato a fare ciò, parlava. A dirla tutta parlava sempre da solo. Mimava ogni tanto un gesto e, probabilmente, questo serviva a enfatizzare – a se stesso – l'importanza del discorso. Nessuno faceva caso a quel vecchio pazzo che, a tratti, sembrava confondersi con i rami secchi o con i rovi. I più vicini centri abitati distavano decine di chilometri e non v'era interesse a stazionare, per i normali, in quella zona. Chi transitava spesso da quelle parti aveva imparato a ignorarlo. Gli automobilisti che passavano da lì per la prima volta, dopo averlo scorto, aggiustavano lo specchietto per capire se avessero davvero visto un uomo dalle sembianze di Babbo Natale in borghese.
Passavano i mesi e perfino gli anni e quel rituale non veniva meno. Parlava sempre con se stesso oppure borbottava. Arrivava all'incrocio, uno dei due, svoltava e continuava a parlare. Ogni tanto qualcuno credeva di non averlo visto durante il passaggio ma, d'altronde, l'alta velocità gioca brutti scherzi e quindi sì, di certo era lì in strada a parlare da solo.
Un giorno d'estate, una macchina piccola, ma di quelle proprio piccole che in due nemmeno ci si entra, si fermò. Dall'auto scese un giovane ragazzo. Il vecchio lo stava raggiungendo e il giovane si mise proprio di fronte a lui. Non tanto di fronte da ostacolarlo. Quando gli passò accanto cercò di capire cosa stesse dicendo. Il vecchio pazzo non si preoccupò minimamente di avere accanto un suo simile e continuò a dirigersi verso l'incrocio.
«Mi scusi, signore? Mi scusi! Signore?» disse il ragazzo.
Il vecchio s'irrigidì e continuò con molta fatica a camminare. Il ragazzo vide questo segno distensivo e corse verso di lui. I suoi vestiti erano malmessi, strappati in più punti. S'aspettava facesse puzza di piscio ma in realtà odorò solo un buon profumo: quello dell'erba appena tagliata.
«Posso camminare un po' con lei?»
Il vecchio annuì e continuò a borbottare. Il ragazzo gli si mise di fronte, rispettando sempre la sua atavica marcia. Fu in quel momento che il pazzo osservò il buffo berretto di quell'essere ancora sbarbatello e sorrise.
«Persone, mare. Conchiglia. Filo elettrico. Budino. Budino? No, non budino. Attaccapanni! Attaccapanni, pulsante, cilindro».
Il ragazzo camminava all'indietro in modo tale da poterlo fissare. Il pazzo guardò per terra e continuò a borbottare. Continuarono a seguirsi come la luna segue la terra per due o tre incroci fino a quando, presosi di coraggio, gli rivolse la parola.
«Signore? Signore? Posso chiederle cosa sta dicendo?»
«Stoffa, nocciola. Abbraccio. Rosa. Speranza. Lacrima. Seme. Stoffa di nuovo. Caldo. Cosa… sto dicendo?»
Sgranò gli occhi e rispose: «Si, se non la disturbo. Cosa sta dicendo?»
«Io non sto dicendo io sto ricordando», rispose il pazzo che continuò: «se smetto di parlare io dimentico. Se parlo ricordo». Poi, sottovoce, disse tra sé e sé: «fragola, giallo. Bandiera. Bomba. Uva. Ragazza».
Il ragazzo deglutì come e cercò di far uscire delle parole. Nei suoi occhi azzurri vide riflesso quel vecchio che profumava di erba appena rasata. Non ebbe mai la sensazione di essere in pericolo. In modo meccanico affondò la mano nella tasca della tuta e tirò fuori una mazzetta di soldi.
«Ecco, sono boh… trecento euro, è tutto quello che ho. Sono i tuoi, prendili!» disse allungando il braccio. Il vecchio mise a fuoco quel gruzzolo e immediatamente spostò lo sguardo verso l'incrocio. Sorridendo rispose: «vieni con me».
Ebbe un po' di paura nel seguire quello sconosciuto, vestito da mendicante, lungo quel groviglio di sterpaglie. La sua macchina era lontana e di certo nessuno lo avrebbe sentito. Il barbone continuava a elencare cose senza alcun senso fino a quando giunsero a uno spiazzo. Notò che il manto erboso era finemente rasato e che esattamente in mezzo, sotto a un albero di limoni, c'era una piccola capanna fatta da rami intrecciati a "V" e ricoperta di fogliame vario. Vide per la prima volta che il suo interlocutore era scalzo. Osservò delle taniche piene d'acqua, della carne essiccata e dei panieri irregolari. Il vecchio, allargando le braccia, fieramente rispose: «questo è tutto quello che ho. Se tu mi darai tutto ciò che hai io devo darti tutto ciò che ho. Ma io non posso vivere anzi non posso ricordare un giorno in più rispetto a oggi se tu ti prendi questo. Ecco se ti prendi la capanna e tutto ciò che è qui con noi adesso. Però…»
«Però cosa?» disse il ragazzo allontanandosi di qualche passo e girando il capo verso la dimora.
«Portami una cosa importante. Regalami una cosa importante e io, ecco io, ti darò questo!» rispose avvicinandosi all'albero e sottraendo due grossi limoni. Poi continuò: «Ecco, in verità sono tuoi ma ecco… cioè ecco… non ti sentire in obbligo sono tuoi e va bene così. Però mi doneresti, ecco se puoi, ecco qualcosa di importante?»
«Cosa? Cosa vorresti?»
«Vorrei un taccuino e una penna. Cioè io vorrei un taccuino per scrivere le cose in modo da non dimenticarle. Io ecco, credo di avere dei figli ma non ricordo i loro nomi. A dirla tutta io non so se io ho dei figli. Tu hai un padre? Cioè, ecco… che domande. Hai di certo un padre se sei qui di fronte a me. Tu conosci il nome di tuo padre?»
«Certo che lo conosco, guarda, è lui. Si chiama Michele», rispose estraendo il cellulare e mostrando una foto.
«Oh, ma che bell'uomo. Io forse, ecco… io forse avevo una cravatta. Ecco devo ricordare ora. Cravatta, Michele, foto, limone, soldi».
«Vuoi un taccuino?»
«Si, per favore. Vorrei ecco, un taccuino e una anzi due penne. Ma ecco, non ti disturbare. Ecco… i limoni sono tuoi, cioè vieni pure a prenderli quando vuoi io sono o a quell'incrocio o all'altro. Ma vorrei un taccuino perché è atroce non ricordare. Io non ricordo, ma forse, ecco, con un taccuino potrei».
Il ragazzo strinse la mano, ruvida e callosa del vecchio e si allontanò. Raggiunse la macchina e partì verso casa.
Passò la notte ma essa ebbe il permesso di mostrarsi solo dopo che il vecchio calpestò per molte volte ancora quel percorso, borbottando sempre parole su parole pescandole da una poesia criptata in modo tale da poter essere decifrata soltanto grazie alla chiave che esisteva nei suoi pensieri.
Il giorno dopo il vecchio si svegliò. Sentiva come se un esercito stesse rastrellando il campo e si preoccupò. Ma la sua priorità fu da subito ricordare: «Limoni, no… non limoni. Terra, azzurro, zucchero. Disperazione, bacio, lacrima. Cielo, marmo».
Il rumore delle frasche che si produceva ovunque lo distraeva. «Albero. No, non albero. Terra… no, non terra. Sasso? Sasso, acqua, pesce. Siringa, vento». Continuò fino a quando, di fronte a lui, non apparvero due ragazzi. Lo fissavano senza dire nulla e lui non sembrava intimorito dalla loro presenza. Però era una fonte di disturbo e chiese loro, istintivamente: «forse ecco, forse ecco voi avete il mio taccuino? Siete, ecco amici? Non ho abbastanza limoni, ma magari siete voi che mi darete il taccuino?»
Si voltò di scatto e vide altre persone, questa volta era una coppia un po' più grande d'età. Sgranò gli occhi e chiese anche a loro: «Il taccuino? Lo avete voi? Michele, forse tu sei Michele?».
Ovunque sentiva passi, ovunque vedeva persone. Il brusio si trasformò in fastidio e poi in lacerante tormento. Guardava tristemente ogni viso cercando di percepire, dagli sguardi, qualcosa. Non sapeva cosa, ma voltava la testa nel tentativo di captare quanti più sguardi possibili. Smise di guardare le loro mani dopo poco tempo. Cercò di farsi strada e di camminare ma veniva interrotto. Lo strattonavano, lo tenevano immobile per una fotografia. Gli chiedevano cose e questo gli impediva di pensare, di parlare e di ricordare. Scoppiò a piangere e nessuno dei presenti si preoccupò di confortarlo.
***
Una mattina d'estate un uomo si diresse verso la porta di un garage, aprendola con molta fatica. Entrò all'interno e aiutato dalla luce del sole iniziò a trasportare sul suo possente pickup delle scatole. Passarono diversi minuti quando, per caso, posò l'occhio su un contenitore di cartone spesso di color giallo. Lo aprì e vide una action cam, non era di certo funzionante dopo tutti gli anni a riposo ma lo schermo era ancora lucido e, da esso, riuscì ad ammirare i suoi occhi azzurri. Nel fondo della scatola vide una stampa plastificata. Era una pagina web di un quotidiano nazionale. Lesse l'articolo così titolato: "La toccante storia dell'anziano che parla con sé stesso per ricordare». Scorse velocemente l'articolo e si soffermò: «è diventato virale il video di un giovane ragazzo che ha intervistato un buon uomo che non ricorda il suo passato, se non tramite le parole che ossessivamente ripete. Migliaia di ragazzi sono giunti sul posto per curiosare e per documentare questo curioso spettacolo».
Ebbe un groppo alla gola e, con il pickup mezzo carico, si diresse verso quella strada. Distava poche decine di minuti dalla sua casa natale e, una volta raggiunta, si stupì poiché sembrava fresca come trent'anni prima. L'asfalto sembrava steso da poco e le linee di mezzeria appena rinfrescate. Cercò di orientarsi ma gli arbusti non lo aiutavano. Entrò nella natura, ormai selvaggia padrona, e camminò a zig zag. Vide l'albero ma era ormai uno scheletro secco, l'erba alta aveva avvolto tutto e della capanna non trovò traccia. Si sentì tremendamente solo, in quell'area morente, e si chiese se quel taccuino fosse mai stato consegnato nelle mani callose dell'uomo.