Io amo correre. Per due motivi. Il primo è quello più evidente: la corsa non fa per me. Dico davvero: cerco di trovare risultati anche lontanamente soddisfacenti senza mai riuscirci.
Chi, a differenza mia, corre sul serio può tranquillamente irridermi e ha molti strumenti per farlo. Già, perché nella mia lotta alla sopravvivenza podistica – in questi anni – ho cercato di avere qualche piccolo vantaggio tecnologico. Ho iniziato a monitorare le mie (cough, cough!) sessioni d'allenamento con Runtastic, adesso passato sotto le ali di Adidas, e ho registrato la mia prima esperienza post-laurea di running: 232 metri.
Ebbene sì, ho percorso nemmeno un quarto di km per morire con poca dignità "alle gobbe". Correvo con delle Adidas verdi e mi facevano male i piedi. Poi ho avuto delle Nike, delle Adidas di nuovo, delle Reebok, delle stupende Kraun (by Decathlon) di colore nero e verde. Adesso corro con delle Mizuno Wave Ultima rosse, che sono uno spettacolo di scarpe. Le ho pagate con un rene.
Capirete che il problema non è la calzatura ma chi la indossa.
Nel frattempo è arrivato il mio amore: lo stupendo Garmin Forerunner 735xt con il quale, attenzione!, posso monitorare qualsiasi cazzo di parametro del mio (cough, cough) allenamento. Passo, passo al minuto, oscillazione verticale, tempo di contatto con il suolo, bilanciamento tra destra e sinistra (tendo più a sinistra, a proposito) oltre, ovviamente, ai battiti cardiaci.
Il percorso (interiore)
Quando corro supero le colonne di Ercole, torno indietro, chiedo indicazioni per riprendere la stessa strada e le oltrepasso nuovamente. Arrivo stremato, qualche volta con la nausea, qualche altra volta con il ginocchio stuccato (che per i non siculi equivale a dire "lesionato", ma stuccato è più poetico). E sono consapevole che ciò che faccio è esattamente 1/10 di ciò che chiunque si approcci – per la prima volta – a questo fantastico mondo possa fare.
(Ricordo una corsa che diventò camminata, nella quale ho dovuto assolutamente evitare di morire, nel modo più dignitoso potessi mai fare).
Sono una schiappa e mi piace esserlo. Mi piace marcare il fatto che quello è il massimo che io possa fare all'interno di un nugulo di professionisti che fanno centomilafottiliardi di volte meglio. Da qui il mio tanto ironico quanto tronfio hashtag: #nopainnogain sovraimpresso alle statistiche nei miei post su FB.
(No, non ne vado fiero. Quando hashtaggo in questo modo lo faccio per perculare).
Già, perché la corsa è un mondo mio.
E qui arriviamo al secondo motivo per il quale amo correre: 5,55 min/Km con 169 battiti al minuto.
Il nirvana
Ok! Forse quei dati non vi diranno molto e cercherò di essere diretto. Raggiungere i 5.55min/Km equivale al raggiungimento del nirvana. Il Buddha, per dimensioni e stazza, sono io.
Al pari della velocità della DeLorean di "Ritorno al futuro", raggiunta quella velocità e quei battiti cardiaci il mio essere interiore inizia a dissociarsi. Inizio a vedere il mondo come se ci fosse un Faber Chris all'esterno. Oppure sono soltanto i sintomi dell'ipossia.
In quell'universo parallelo inizio a percepire il mondo in modo diverso. Osservo le persone correre e soffrire con le loro mille sfaccettature, cerco di isolare il marasma di pensieri che ho in testa e districarli in più fili logici. E queste due cose, spesso, vanno di pari passo.
A prima vista
Mi piace osservare. Mi piace pensare.
Penso alle innumerevoli discussioni che faccio con un mio amico che, in questa istanza, chiameremo Biagio. Nome di fantasia. Oppure B.B. (iniziali del nome e del cognome. Di fantasia, ovviamente). Penso più che altro a quanto ci circonda e ci ha circondato. In quei momenti vedo le persone sofferenti e mi sembra di vedere la loro reale faccia separata dalla maschera sociale, esattamente come loro vedono la mia.
Quando corro ho un "vantaggio". Il mio campo visivo si riduce, e di molto. Riesco così a vedere non il mondo nella sua completezza ma soltanto piccoli frammenti. Questo fu particolarmente valido quando non vidi un palo, nella sua completezza, ma lo percepì sul mio muso.
C'è un ragazzo che incontro ogni volta. Ha iniziato correndo, più o meno due anni fa, esattamente come me. Ultimamente cammina. È sempre al telefono e mi chiedo se – al netto di amanti varie – abbia davvero la voglia di parlare così tanto al telefono.
C'è un tizio sulla sessantina, che io chiamo "insetto stecco" perché da lontano sembra essere magrissimo e sembra stia morendo. Assomiglia tanto alla classe degli Insecta perché indossa sempre la sua uniforme verde. La laverà tornato a casa? Poi si avvicina. Sempre di più. È un treno, che viaggia almeno a 3.5 min/Km. E forse anche meno. Non muove la testa e la tiene dignitosamente perpendicolare al corpo. Sono certo che se andassi adesso a correre, in questa sera di una Pasqua qualsiasi, lo troverei lì, a correre.
Ci sono tre ragazze, sempre truccate, che fanno camminata veloce. Parlano in modo animato, gesticolano. Cos'avranno mai da raccontarsi? Forse quello è il loro momento speciale?
L'anno scorso c'erano due ragazzini, che facevano le ripetute. Due mostri. Uno correva a petto nudo, l'altro no. Si allenavano nella parte dissestata della litoranea tenendo sempre le dita salde, come a voler fendere meglio l'aria. Non li ho più rivisti: sono certo che sono diventati dei professionisti.
C'era anche una ragazza l'anno scorso. Anche lei correva dalla parte opposta alla mia. Capelli lunghi raccolti a coda, con una andatura sicura. Vestita un po' pesante. Credo che – esattamente come me – avesse problemi di termoregolazione. Quest'anno non l'ho ancora incontrata: si sarà rotta il cazzo e farà crossfit.
E poi ci sono io che, con evidenti difficoltà, cerco di arrivare al semaforo, oltrepassarlo, prendere "la curva larga" perché se mi fermo sono fottuto. Al semaforo, ahimé, non arrivo più da molto tempo. Nonostante le Mizuno e il Garmin.
Non so perché, ma quando corro non penso più al Leviatano.