
Esco. Dietro di me il mio studio con la sua porta appena chiusa. Salgo in macchina, fa un po' di freddo in questo inverno. Non ricordo l'anno scorso di aver percepito fastidio da questa temperatura. In effetti – e ne sono certa! – anche l'anno scorso era inverno e io non sentivo questo cazzo di freddo. Forse sono i tempi che cambiano?
Salgo in macchina, inserisco la chiavetta USB esattamente sotto la fessura d'accensione. Pochi secondi e leggo: "playlist loaded". Ancora qualche istante e – finalmente – sento la mia musica.
Instagram, storia in diretta. Amici, vi parlo di me, della mia vita appena ripresa, del mio studio lontano già quasi un chilometro. Della strada che – finalmente – mi porta a casa e della mia musica.
Ok, non è che mi annoi allo studio, è che le giornate sono sempre le stesse: telefono, appuntamento, mind storming con il capo, fatture, telefono, mind storming.
Appena esco, invece, la vita torna a essere mia. La mia musica, la mia strada, la mia diretta Instagram. Lo faccio ormai, come da mia routine, da oltre due anni. Conosco ogni centimetro dell'asfalto che mi separa da casa. Conosco perfettamente quando scalare di marcia, quando mettere la freccia e quando superare quel fruttivendolo sempre sorridente ma altrettanto sempre in mezzo alle palle. Certo, ne sono consapevole: non sono la sola a mettere una canzone mentre vado in macchina. Ma, amici miei, quella è la mia cazzo di diretta. La mia finestra sul mondo.
Questa sera qualcosa è diverso. Ho appena superato il fruttivendolo. Credo che mi faccia un cenno di saluto perché sa, che ogni sera, alle ottomenoventi, sono di fronte alla sua bancarella improvvisata in mezzo alla strada. Qualcosa è diverso perché sono pensierosa. Ieri, dopo la doccia, ho fatto il mio selfie con il mio viso sempre serio, perché è così che mi piace apparire. Spensierata lungo la strada ma anche seria quando sono nel mio intimo, nella mia casa. Dicevo, ieri ho visto una ruga sotto l'occhio sinistro. Era lì, almeno fino a quando snapseed non l'ha corretta. Dicono sia merito dell'IA.
Lo dice Faber, un mio amico un po' strano, che sia merito dell'IA. Faber è un po' così. Tecnologico, ma tremendamente nerd. Ho mandato a lui quella foto chiedendo come fosse possibile che un cellulare potesse togliere una ruga, come se niente fosse. E lui mi ha risposto che non è il mio cellulare a farlo, ma una cosa che si chiama "cloud". Io, so, che nel cloud ci mando le fatture del mio studio e non trovo nessuna correlazione con la mia ruga e un titolo d'esenzione IVA.
M'ha anche detto che ha sviluppato un software, sempre con questo cloud, che analizza i social. Incuriosita gli ho chiesto cosa dice questo suo programma di me, sulla mia vita "sociale", diciamo così.
E lui m'ha risposto.
Dice che il 65% delle storie le faccio sulla spiaggia, il 20% sono in macchina, il 10% con musica che riporta chiari interessi sessuali e nel 5% ci sono fotografie di un bambino. Mi sa che questo software non funzioni, perché io non ho mai fatto una foto con un bimbo. Al massimo con mia nipote. Ma il 5% mi sembra comunque tanto, sarà accaduto qualche volta al massimo.
Però è vero, io amo la spiaggia. Mi ricorda molto una canzone, mi pare che fosse dei Pink Floyd, che dice qualcosa come "Home, home again. I like to be in, when I can". Ecco, io adoro quella spiaggia. È il mio posto speciale, è il punto dove io posso essere me stessa.
Anzi, no.
È quel punto dove io posso sentire me stessa ma sotto un'altra forma. Un po' come accade in Interstellar. La spiaggia è il mio rifugio, e poco importa sia invasa e geotaggata un milione di volte. La spiaggia è mia.
Sulla macchina sapete già. (Il 20% mi sembra troppo). Mi sento libera quando le luci dei lampioni sono compresse scorrendo verso l'orizzonte. Il mio punto idealmente infinito, tracciato da lampadine eterocromatiche. E si, è vero, ascolto trap. Un tipo di musica dove i riferimenti sessuali sono onnipresenti. Ma è una musica che oserei dire leggera. Io voglio chiudere tutto ciò che è negativo dentro un campo energetico fatto di spensieratezza. Certo, domani mattina dovrò pure svegliarmi e ricominciare. Ma adesso, non voglio pensieri. In macchina, come vi dicevo, la vita torna a essere mia.
Scusate un attimo.
Ho controllato l'archivio del mio telefono. Ecco, in effetti ho messo qualche storia con la mia nipotina. Credetemi: è AMORE PURO. Un piccolo batuffolo di cotone, che profuma sempre di pulito. La posso vedere soltanto la domenica, quando vado a trovare mio fratello. Mia cognata, che di certo è una stronza, mi manda via le solite battutacce: "quando te ne fai una tu che stai consumando la nostra?".
C'è tempo. Che poi, io nemmeno vorrei impegnarmi a vita con un figlio. È una responsabilità che non mi sento di avere ancora. La scienza fa miracoli e fino ai miei quarantacinque l'asilo del paese più aspettare.
Beh forse no.
È che… ok… vorrei essere mamma. Lo vorrei tanto, ma vorrei che tutto ciò fosse più facile. Non ci prendiamo per il culo, alla mia età tutte hanno l'istinto materno. Tutte. Ecco, io prendo in prestito quel batuffolo di cotone per farvi vedere che anche io sono capace di amare una creatura.
Forse ha ragione quello stronzo di Luca, il mio ex. Lui diceva che ho paura di affrontare i cambiamenti e magari non sbaglia del tutto. Io non so cosa fa una mamma. Non lo so, ok? Io dormo ancora dai miei. La sera trovo sempre un piatto caldo e non so come sia la vita lì fuori. Non lo so come ci si comporta da mamma. So come si comporta la mia di mamma, ma ormai ha quasi sessantacinque anni, e mica le posso chiedere di spiegarmi qualcosa?
La ruga, comunque, è ancora lì.